Commento alla liturgia del 21 Dicembre 2020
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1, 39-45
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
La parola che oggi ci è consegnata dalla liturgia è la gioia. Nella prima lettura abbiamo ascoltato il testo del libro del profeta Sofonia: «Rallegrati, figlia di Sion; grida di gioia, Israele; esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme, perché il Signore è il tuo Dio (…). Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3, 14. 16-17).
La gioia non nasce dal il fatto che le cose vanno come desideriamo, ma dalla presenza del Signore che viene, che gioisce per noi, che ci rinnova con il suo amore. Lasciamo dunque che questa parola scenda nel nostro cuore e illumini la nostra vita, come abbiamo pregato nell’antifona al canto al Vangelo: «O Astro che sorgi, splendore della luce eterna, sole di giustizia: vieni, illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte».
La venuta del Signore è per illuminare la nostra vita; e allora percepiamo, anche attraverso il testo del Vangelo, la bellezza non solo di vivere noi la gioia del Natale, di essere noi nell’esultanza Egli rischiara le nostre tenebre e rinnova la vita, ma, con Maria e come Maria, di portare gioia.
La gioia si moltiplica quando non la teniamo per noi, ma la trasmettiamo alle persone che il Signore ci dona di incontrare oggi. Chiediamo perciò di poterci sempre alzare dall’ascolto della parola e dalla mensa eucaristica per entrare nella storia di chi ci è attorno, come Maria nella casa di Elisabetta, e portarvi quella speranza, quella luce e quella gioia che non sono nostre, ma vengono da Dio.