Commento alla liturgia del 26 Novembre 2021
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21, 29-33
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Siamo ormai quasi arrivati alla fine dell’anno liturgico, e sia la prima lettura, tratta dal libro di Daniele (7, 2-14), sia il Vangelo usano immagini molto forti, che un po’ ci turbano. Gesù ci invita a guardare al fine della nostra vita e a fare attenzione ai segni del regno di Dio, e subito dopo afferma: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Ecco: c’è una roccia su cui possiamo appoggiare la nostra vita anche quando tutto sembra crollare o tremare; nei momenti di incertezza che stiamo vivendo la sua presenza costituisce il fondamento della nostra vita.
La parola di Gesù non è un semplice suono o un testo scritto, ma la manifestazione del suo amore, del suo prendersi cura di noi. Il canto al Vangelo ci ha esortato a risollevarci e alzare il capo, perché la nostra liberazione è vicina (Lc 21,28): l’incontro con il Signore, infatti, non deve terrorizzarci, perché è il compimento del nostro pellegrinaggio terreno. Viviamo dunque nel desiderio di incontrarlo, di contemplare il Suo volto e di abitare per sempre nella Sua casa.